Correva l’anno 1993, ancora non si parlava dell’alternanza scuola lavoro, tuttavia in alcuni ambienti era già nata l’idea di mettere a confronto le esperienze del mondo del lavoro con quelle della scuola… e per chiarire cosa significhi lo strano titolo di questo post è necessario fare un salto indietro nel tempo. Anticipo solo che SCM sta a significare Supply Chain Management
La fine degli anni ottanta ed i primi anni novanta furono il periodo in cui le reti di computers, le LAN, iniziarono anche in Italia a sostituire in maniera efficace il modello informativo aziendale basato solo sui sistemi mainframe.
Ciò non fu soltanto un semplice avvicendamento fra tecnologie.
Grazie alle LAN i sistemi informativi iniziarono a rendere fruibili accresciute funzionalità pronte per essere utilizzate da tutti i comparti dell’organizzazione aziendale. L’effetto di questo mutamento di scenario tecnologico fu quello di fornire una forte spinta all’evoluzione di una nuova visione logistico-organizzativa che interessava l’intera struttura strategica, tattica e operativa delle nostre PMI.
Proprio in quel lontano marzo 1993, grazie all’impegno di Bruno Contigiani, giornalista de Il Sole 24 Ore, presso la fiera di Milano fu organizzata una manifestazione il cui nome, “Didattica 2000”, lasciava trasparire la voglia che c’era in quegli anni di guardare al nuovo millennio, cercando di immaginare i possibili scenari verso cui si sarebbe potuto muovere il mondo della formazione e delle imprese.
In questo contesto il mio mentore, Gigi Tagliapietra, si pose alla testa di un manipolo di esperti visionari, più “un ragazzetto” (il sottoscritto), con l’obiettivo di illustrare ad un salone gremito di insegnanti di scuole superiori e professori universitari, cosa fossero veramente “le reti” e quali potenzialità questo nuovo mezzo prometteva a supporto del fine.
Il miglioramento concreto dell’organizzazione delle nostre imprese.
Il mondo che un giorno avrebbe accolto i ragazzi che in quel momento erano sotto le cure delle persone che in quella sala congressi avevano deciso di dedicare un poco del loro tempo per cercare di guardare avanti.
La gente del mondo della scuola che conobbi in quei giorni era carica di entusiasmo e ciò mi rese chiaro un concetto che porto con me ancora oggi.
L’insegnante è il costruttore delle fondamenta di un edificio il cui nome è persona.
Una responsabilità enorme.
Insegnare, mantenendo una passione instancabile è uno dei lavori più difficili al mondo.
In quegli stessi anni un altro paradigma si stava iniziando a consolidare in Italia: la Qualità Totale. Grazie a delle metodologie di estrazione scientifica, il TQM prometteva di rendere disponibile a noi uomini della logistica una potente lente di ingrandimento.
Una lente capace di permetterci di compiere valutazioni oggettive dei processi, così da rendere possibile l’avvio ed il mantenimento di una virtuosa catena di azioni e reazioni tendenti al miglioramento continuo.
Le logiche della catena di montaggio di Henry Ford, grazie al lavoro di elaborazione metodologica poi avvenuto in Giappone, erano ora in grado di essere trasferire anche dentro le “catene di montaggio” costituite dai processi cooperativi fra soggetti clienti e soggetti fornitori.
Entro questo scenario le reti di computers potevano costituire, come poi è avvenuto negli anni successivi, il basamento su cui costruire il paradigma delle “reti di aziende” le quali, pur nelle specifiche diversità, avrebbero potuto cooperare assieme grazie ai principi del TQM.
La parola d’ordine era: rompere i compartimenti stagni, adottando un nuovo paradigma logistico in grado di estendere la pianificazione anche all’esterno della stretta area di competenza di ogni singola azienda.
A contare doveva essere il risultato complessivo, non soltanto la performance del singolo reparto. La diffusione della sigla SCM (Supply Chain Management) arrivò solo diversi anni dopo.
Tuttavia per noi in quel lontano 1993 era già chiaro che la migliore definizione di ciò che stavamo illustrando alla nostra platea l’aveva data molti anni prima il grande Antonio de Curtis – in arte Totò dicendo: è la somma che fa il totale!
Come? Cercherò di spiegarmi con un aneddoto personale: ricordo una sera di quei primi anni 90, durante una riunione con i capo reparto di un’azienda metalmeccanica.
Discutevamo di un problema: il reparto di taglio e punzonatura lamiere perdeva troppe ore di produzione a causa dei fermi macchina. Chiedendo ai miei interlocutori quale fosse il motivo di tale inconveniente, mi fu risposto che in sostanza: le macchine, sono macchine e quindi capita che si fermino.
Forse agli occhi dei miei responsabili di reparto ero solo un novellino sceso dai piani alti per dirigere la logistica del gruppo per un “capriccio” del presidente. Semplicemente avendo progettato il sistema logistico-organizzativo del gruppo, la proprietà mi aveva detto: adesso che hai costruito la macchina vai a pilotarla. Se sai programmare un computer, probabilmente sai anche “programmare” il lavoro di una o più fabbriche.
Per mia fortuna la “macchina informativa” che avevo progettato già funzionava raccogliendo dati prima che assumessi la mia nuova responsabilità.
Così, grazie ad un diagramma di Pareto potei informare i miei capo reparto che le punzonatrici non si fermavano per libero arbitrio, semplicemente i punzoni dopo alcune ore di lavoro perdevano il filo diventando inefficenti e quindi andavano rifilati. Questa era l’informazione che era stato possibile estrarre dai dati.
Morale, facendo una manutenzione preventiva non era necessario aspettare che i punzoni si scassassero, con il risultato di fermare la linea, tirare giù il coil, etc… In un bit di tempo, di comune accordo, facemmo ritornare produttive oltre il 60% delle ore che prima erano imputate a fermi macchina.
Perché tirai fuori il diagramma di Pareto? Dopotutto mi era stata data l’autorità per dire semplicemente: da adesso si fa così! Inoltre al tempo che fu il mio modulo cognitivo-relazional-diplomatico funzionava ad intermittenza, nel senso che delle volte avevo la brutta abitudine di “asfaltare” i miei interlocutori.
Invece un manager deve saper convincere e solo in ultimissima istanza, costringere.
Gli strumenti della qualità sono stati progettati per allargare la mente.
Come diceva un bravo consulente dell’epoca: farci diventare tutti dei piccoli scienziati. Mentre si è presi dall’attività operativa quotidiana se c’è un problema lo si risolve con la massima rapidità per far ripartire la produzione. Questo facevano i miei capo reparto, non agendo diversamente da quanto avrebbero fatto nella stessa situazione i loro colleghi di mille altre aziende simili alla nostra.
Il sistema di garanzia della qualità permise però a tutti noi di crescere, di rispettarci a vicenda, e a me personalmente di prendere come manager le decisioni corrette senza lasciarmi rapire dalle emozioni, ma basandomi sull’analisi dei dati e delle informazioni che da essi era possibile estrarre.
Se uno ha la pazienza di studiare gli strumenti del TQM e magari leggersi anche un libro intitolato “L’arte del negoziato” di Roger Fisher e William Ury non dico che poi potrà campare di rendita fino alla pensione… ma quasi.
Lasciamo i lontani anni 90 e veniamo ai giorni nostri.
Ciò che sono diventate le reti e più concretamente internet lo sappiamo tutti, le premesse si sono tramutate in fatti e quindi non mi dilungherò su questo argomento.
Più importante è sottolineare il fatto che non importa se produci beni o servizi.
Il succo della questione è che puoi dire di avere una SCM efficiente solo se su di essa riesci ad esercitare un efficace controllo, tale da permetterti di fare dei ragionamenti su cui costruire le decisioni.
E’ quindi ancora valida la frase di Totò, noto esperto di SCM, quando diceva: è la somma che fa il totale
Una SCM di tipo evoluto deve integrare al suo interno tutte le funzioni aziendali, inclusi i fornitori strategici.
Il reparto marketing è la funzione aziendale che più di ogni altra dovrebbe disporre degli strumenti per rappresentare al meglio le esigenze dei clienti. Non è tanto importante comprende cosa il cliente vuole oggi, lo si conosce già… dato che è in produzione.
Serve soprattutto intuire cosa il cliente vorrà domani. Una regola regna sopra tutte: il cliente compra sempre per le sue ragioni, chi le comprende vince.
Un cliente può essere illuminato dai principi del TQM e per questo motivo vedere i propri fornitori come dei partners con i quali cooperare. Tuttavia è ugualmente un cliente anche chi vede i propri fornitori come dei soggetti verso cui scaricare i costi della propria inefficienza, senza sapere che poi i costi sono dei boomerang: tu li sposti, ma in qualche maniera riescono sempre a tornare indietro; magari non subito, ma ritornano sempre.
Che si abbia a che fare con “buoni” o “cattivi” clienti, un cliente è un cliente.
Compito del fornitore è capire se realmente ha fatto di tutto per “starci dentro”, rispettando le specifiche, senza per questa ragione dover soccombere sotto i costi, oppure raccontar balle.
Ciò risulta più facile se uno si addestra a ragionare pensando che il cliente sono io, anzi siamo noi, meglio: il cliente è dentro di noi. Esistiamo perché esistono i clienti, “buoni” o “cattivi” che siano.
Conosco un’azienda abruzzese che opera nel campo della robotica per il settore automotive. Il proprietario di questa azienda da molti anni ha fatto mettere un cartello in bella vista presso la reception e gli ingressi delle maestranze.
Il cartello recita più o meno così: Il vero proprietario di questa impresa è un signore che si chiama cliente. Questo signore se ne dovesse aver motivo può decidere di licenziarci tutti.
L’azienda dove si trova questo cartello è una realtà che da diverso tempo lavora con un’alta qualità, oltre ad innovativi contenuti tecnologici riconosciuti dalle maggiori case automobilistiche di tutto il mondo. Quindi per quale motivo piazzare un così apparentemente “minaccioso” avviso, proprio dove può essere più facilmente letto?
Il motivo è questo: la guardia non va mai abbassata e non esistono allori su cui adagiarsi. Leggere ogni mattina chi è il vero proprietario dell’azienda dove si lavora aiuta a ricordare come funziona il mondo e quanto questo sia realmente competitivo.
Per quanto sia possibile automatizzare un processo, alla fine è sempre l’attenzione del fattore umano che fa la differenza.
La qualità totale e la SCM funzionano se la loro concreta essenza riesce realmente ad arrivare fino alle radici della pianta di nome impresa. Altrimenti è tutto un girar di files o di carta, con la speranza che il vero proprietario di ogni azienda non abbia poi ad adombrarsi.
Insomma, non dico che per dare il meglio bisogna necessariamente trovarsi nelle esatte condizioni di Fëdor Michajlovič Dostoevskij quando scrisse di getto nel 1865 “Delitto e castigo”, uno dei romanzi più belli e terribili di tutti i tempi dove l’autore riesce a scavare con la sua mente nel profondo dell’animo umano.
Quale fu la musa che ispirò Dostoevskij durante la scrittura del suo romanzo? La fame, quella vera, unita al rimorso di esser causa dei suoi mali e quindi Fëdor Michajlovič non aveva scelta: o prevaleva contro il suo concorrente, il conte Lev Nikolàevič Tolstòj (quello di Guerra e pace), oppure… the end. Per dire quanto alle volte la motivazione aiuti ad essere convincenti dando il meglio di se.
Lasciando il romanzo “Delitto e castigo” come una possibile buona lettura per l’estate, commette un “delitto” 🙂 anche chi progetta un sistema SCM non adeguato e per questo motivo incapace di integrare al suo interno tutte le risorse che contribuiscono alla formazione dell’output.
Più precisamente il “delitto” è quello di non riuscire a trasferire al cliente la percezione rassicurante che tutto è sotto controllo e che assieme a lui stiamo perseguendo lo stesso risultato e per questa ragione il prodotto/servizio che gli consegneremo non potrà che essere conforme a quanto stabilito dalle specifiche siano esse formali o informali.
Per vendere non basta più dire: il mio prodotto è quello con il miglior prezzo/prestazioni.
Una efficace SCM è già da sola un valore commerciale che deve essere noto ai reparti preposti alla vendita, così che se ne possano saper avvantaggiare, dimostrando ai propri clienti dove sta il valore aggiunto che fa la differenza rispetto alla concorrenza.
Ultima riflessione. Come avvenne in quel lontano 1993 l’evoluzione dei nuovi mezzi a supporto dell’ organizzazione aziendale può fornire uno stimolo importante affinché il miglioramento continuo non si assopisca.
Per questa ragione appena avrete finito di leggere il libro “L’ Arte del Negoziato”, vi è una nuova lettura che posso consigliare per l’estate. Questa lettura riguarda un’estensione della visione SCM che si chiama CLM – Configuration Lifecycle Management… ovvero come fare in modo che gli addendi che danno la somma descritta da Totò si possano ulteriormente integrare e rinsaldare per dare un totale ancora più grande.